martedì 17 marzo 2009

Il Gazzettino birichino

Giovedì 12 Marzo 2009, il Gazzettino riporta in prima pagina la notizia: I vip si fingevano poveri: maxi truffa sui ticket. La notizia prosegue con ampio spazio nella seconda pagina e tutta la terza pagina, con le parole del procuratore Fojadelli e il comandante provinciale della Guardia di Finanza colonnello Claudio Pascucci .Sempre in giornata,«Di cattivo esempio ai giovani è un'offesa a chi non può difendersi». Lo ha detto il vescovo di Treviso Andrea Bruno Mazzocato commentando, la truffa che 157 cittadini trevigiani avrebbero attuato ai danni del sistema sanitario dichiarando falsamente redditi inferiori al minimo per ottenere esenzioni dal ticket.

Nel caso dell’Usl 7 quello che impressiona non è la cifra
dei mancati incassi: «Non è questo il punto, anche se si tratta
di cifre pur sempre ragguardevoli. Quello che preoccupa è il fenomeno.
La cosa sconcertante è la convinzione che il denaro pubblico sia considerato
di proprietà di chi se ne appropria: questa è la coscienza civile che manca.

……………………
Tutto questo è un colossale spreco di energie e di risorse.
E questo vale per i cittadini della Marca, molti dei quali hanno
la pretesa di dare lezioni a tutti. Dopo tutto questo,
nessuno avrà più il diritto di dare lezioni a chicchessia».

Giusto dare ampio spazio a questa notizia.
Quello che non capisco è tutto questo accanimento verso i veneti. Il solito gioco che si ripete, imprenditori e liberi professionisti non pagano le tasse. Un’altra cosa che mi chiedo, è quanto può ammontare il danno recato alle casse dello stato? Sono sicuro che ammonta a qualche decina di migliaia di euro. Come lo ammette lo stesso Fojadelli

Ma la matematica non è una opinione, su 40.000 esenzioni certificate, le denunce sono state 157, come riportato nell’articolo, la percentuale è dello 0,4%. , e come hanno detto, questo si riflette anche nella loro disonestà per quanto riguarda la denuncia dei redditi. Considerando che la città di Treviso conta circa 33.000 famiglie, le famiglie disoneste sarebbero circa 130. O se preferite su circa 80.000 abitanti, che conta la città di Treviso, i disonesti sarebbero 314.
Badate bene, lungi da me prendere le difese di queste persone. Le tasse vanno pagate, la domanda sarebbe casomai:”Quante volte vanno pagate? “
Ma per favore, non vengano questi signori a parlarci di coscienza civile, o di non poter dare più lezioni a chicchessia dopo questo, pur sapendo che ci sono regioni esenti da ticket, e che accumulano dei debiti spaventosi, che poi noi stessi dobbiamo pagare.
Ho pensato di scrivere questo post dopo aver letto il Gazzettino di oggi, in prima pagina, nascosto tra i vari titoloni, un trafiletto di poche righe diceva:

La battaglia dei sindaci del 20% rischia di essere un autogol
Il disegno di legge sul federalismo fiscale entra nell’aula della Camera dei Deputati, dove sarà discusso e votato dal plenum dell’assemblea, dopo il proficuo lavoro delle Commissioni che ha posto tutte le premesse per confermare il carattere di riforma bipartisan già conquistato in Senato.
Le modifiche al testo sono state numerose, ma non hanno alterato l’impianto complessivo.
(Segue a pagina 23)

No dico io, a pagina 23, a pagina 23? Da notare che dopo di questa pagina c’è solo la pubblicità sul retro del giornale. Riporto l’articolo per intero perché secondo me ne vale la pena.

La battaglia

Le coordinate del modello rimangono le stesse – la tracciabilità dei tributi e il superamento della spesa storica -, dirette a iniettare nel nostro sistema quel principio di responsabilità di cui ha un sanguinate bisogno. Senza federalismo fiscale, il nostro sistema costituzionale, modificato dalla riforma del 2001, rimane una grande incompiuta. Le incompiute possono avere un loro fascino: l’incompiuta di Schubert è un capolavoro; la Sagrada Familia proprio nella sua misteriosa incompiutezza rivela la cifra della genialità che ha ispirato Guadì. Quando l’incompiuta è una riforma federale, il discorso però cambia radicalmente: è come una nave che deve navigare in un mare in tempesta senza il timone; il naufragio è una certezza. Il timone che manca al sistema italiano è proprio il federalismo fiscale. I segnali dell’impossibilità a navigare sono sconfinati: ne voglio ricordare solo due, recentemente e un po’ in sordina, venuti alla luce. Napoli ha accumulato quattrocento milioni di euro multe non riscosse. Si era offerta Equitalia per cercare di recuperare quella cifra spaventosa, ma perse la gara che, grazie a un assessore al bilancio colluso, fu vinta da un imprenditore locale, che di cognome fa Romeo. Le multe continuano a rimanere non riscosse e il resto è cronaca giudiziaria. Altro dato: la sanità della Calabria è uno dei buchi neri del bilancio dello Stato ed è stata una delle cinque Regioni beneficiate dal salvataggio di dodici miliardi di euro dell’ultimo governo Prodi. In questi mesi la situazione è stata tutt’altro che risanata, al punto che il Governo ha dovuto nominare Kpmg per ricostruire tutta la contabilità, perché quella locale era così inattendibile da risultare quasi inesistente; una “perla”: si è scoperto che l’ospedale di Taurianova, con diciotto posti letto, ha centosettantaquattro dipendenti. Sono solo due “piccoli” esempi, che non devono meravigliare, in un sistema che, mentre ha decentrato funzioni amministrative e legislative, in coerenza con lo spirito federalista ha abolito i controlli (Coreco e quanto altro) che prima esistevano sulle amministrazioni locali. Da anni nel meridione la situazione è dunque letteralmente fuori controllo, generando situazioni che non vanno certo a vantaggio dei cittadini, come dimostra l’impressionante aumento delle migrazioni sanitarie verso il Nord. E’ urgente, allora, ricostruire attraverso la responsabilizzazione fiscale i danni prodotti dall’incompiuto federalismo italiano. Per questo motivo non appare convincente la proposta dei sindaci che reclamano il venti per cento dell’Irpef: una compartecipazione come quella richiesta non genera nessuna responsabilizzazione fiscale, anzi deresponsabilizza ancora di più rispetto ad adesso. Il cittadino comunale paga l’Iperf allo Stato che la trasferisce al Comune senza nessuna “tracciabilità” del tributo, senza nessuna trasparenza che renda possibile giudicare con il voto l’operato delle amministrazioni locali. Di questo il Paese non ha proprio bisogno! Soprattutto la proposta dei sindaci prevede una perequazione integrale in base alla spesa storica: siccome l’Irpef è molto sperequata sul territorio il trasferimento dal Nord al Sud sarebbe davvero ingente: un regalo straordinario alle gestioni inefficienti e deresponsabilizzate che producono quelle situazioni perverse cui sopra si è accennato. Il movimento del venti per cento – e questo è sorprendente - dimentica così un dato molto elementare: lo Stato non è una cornucopia che fabbrica risorse, chiedere in questo modo ulteriori risorse allo Stato, di fatto vuol dire chiederle ai contribuenti del Nord. La proposta quindi, così com’è formulata è in realtà un autogol. La comprensibile difficoltà dei Comuni del Nord, derivante dai vincoli del Patto di stabilità, dall’abolizione dell’Ici sulla prima casa, ecc. meriterebbe una ben altra considerazione. Il movimento dei sindaci avrebbe senso se diventasse un reale movimento di base alla difesa delle sole ragioni del Nord Est, in un momento in cui questo rischia di fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro. I vasi di ferro sono le realtà politiche meridionali, che sono molto meglio attrezzate nel difendere le loro rendite, basta vedere come le sistematiche compagne dello Svimez contro il disegno di legge sul federalismo fiscale stanno creando non pochi problemi nella fase parlamentare. I vasi di ferro sono ancora di più le ricche Regioni speciali (Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige), dal PIL pro capite maggiore di quello della Lombardia, ma che trattengono sul territorio il centoventiquattro per cento delle risorse, perché oltre a non dare nulla al Sud continuano a prendere molto dallo Stato; da abilissimi Robin Hood alla rovescia del nostro sistema istituzionale, i loro rappresentanti continuano a parare i tentativi di riportare un po’ di equità nel sistema, forse anche perché il Nord Est, appunto, in un modo o nell’altro, finisce per fare la parte del vaso di coccio.

Quanti avranno letto questo articolo? Forse lo 0,4% delle persone? E' risaputo che il ritorno dell'irpef non è equo.Sono queste regioni autonome o a statuto speciale, comunità montane, e altarini vari, e di tutte quelle regioni con una rappresentanza politica più forte, che hanno dissanguato il resto d'Italia. La divisione dell’Italia non la vogliamo noi Veneti, ma l’hanno già fatta loro, i padroni del vapore, i signori della casta.
A questi signori voglio dire che l’albero nato 50 anni fa, non da più frutti. Ma in questi anni, non tutti i frutti sono stati mangiati, qualche frutto è caduto lontano dall’albero, e stanno nascendo nuovi alberi più in la, in una nuova terra. Come si sa la natura è mutante, e alcuni di questi nuovi alberi hanno una particolarità, non daranno frutti, ma in compenso faranno tanta ombra, sotto la quale potremmo sdraiarci al riparo dal sole, quando non avremmo più nulla da fare. E, all'ombra dell'ultimo sole, racconteremo le storie ai nostri nipoti, di quando c'era il lavoro, di quanto stupidi siamo stati, di quando c'era l'euro, di quando c'erano le banche, al fallimento finanziario mondiale.

Saluti a tutti

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono daccordo, ci stanno dipingendo come dei criminali. Come se qui al nord, se abbiamo qualche soldo è perchè l'abbiamo rubato. Hanno beccato dei furbi? Benissimo, che paghino. Ma non trovo giusto fare di tutta l'erba un fascio. Secondo me stanno tramando qualcosa, staremmo a vedere.
Ciao.